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lunedì 18 febbraio 2013

Giganti di sabbia

Sabato è stata per me una serata-evento.
Ho rivisto una parte de miei compagni delle medie, professoressa compresa.
Con alcuni di loro ho la fortuna di sentirmi e frequentarmi già da tempo, con altri- la maggior parte- non ci vedevamo e sentivamo da più di vent'anni. VENT'ANNI.

Ho aspettato con trepidazione questo incontro e, a poche ore dal suo arrivo, mi è cominciata a salire un'ansia pazzesca. Tipo:
1) Oddio, checazzomimetto?
2) Saranno cambiati?
3) Cosa si ricordano di me?
4) Come mi vedranno?
5) Che je racconto?

Ovviamente, come sempre mi capita, ogni evento preceduto dall'ansia vede quest'ultima sgonfiarsi al primo ciao ed alla prima stretta di mano.
Sono bastati un abbraccio ed una battuta e sembravamo i compagni di classe di vent'anni prima, anzi: meglio.

Quello che forse non vi ho mai detto è che le mie scuole medie sono state all'interno dell'Accademia Nazionale di Danza. Superai non so quante selezioni e visite mediche per trovarmi lì a dividere le mie giornate tra banchi di scuola e pliè alla sbarra.
La danza ha fatto parte della mia vita per molti anni, così come è accaduto ai miei compagni.
Vorrei fare una piccola premessa.
Oggi è più "facile" parlare di danza. Impazzano programmi TV e serie televisive sull'argomento. Molti ragazzi intraprendono questa carriera artistica, ma più di vent'anni fa tutto questo era un'eccezione.
Certo, è il sogno di ogni bambina quello di indossare il tutù e fare la ballerina, ma un conto è pensare alla danza come all'idea zuccherosa di vestirsi da principessa a Carnevale, un altro è dedicare una parte della tua vita ad essa.
Io vorrei che voi immaginaste per un attimo ragazzini di 11 anni, in una Roma di fine anni '80, a passare le loro giornate tra compiti di scuola ed esercizi in sala specchi. Vorrei che voi realizzaste come molti di questi venissero da lontano; alcuni da altre regioni (magari il primo anno non hanno retto e sono tornati indietro, salvo poi ripresentarsi ancora più convinti l'anno dopo); altri da città limitrofe a Roma (svegliandosi alle cinque tutte le mattine, diventando pendolari delle FS già a 11 anni). Vorrei che capiste come lì in Accademia si lavorasse. E di brutto.

Magari queste cose già le saprete, quello che non sapete è il trattamento che veniva loro riservato. L'Accademia, lo dice il nome stesso, è un luogo dove vengono impartiti insegnamenti, regole, disciplina, ma è anche il luogo dove vive e si alimenta, nel caso della danza, l'arte.

E' stato atroce ascoltare i racconti dei miei compagni. 
Personalmente, lasciai l'Accademia alla fine delle medie, proseguendo i miei studi altrove, ma altri rimasero e fu una sorta di carneficina. 
Una carneficina fatta di continue vessazioni, insulti, disparità, maltrattamenti. Un totale disinteresse della PERSONA che quei docenti avevano, loro malgrado, la FORTUNA di educare a qualcosa di bello, di alto. Una marcata perfidia nel voler sottolineare ogni sbaglio ed ogni linea del corpo, specie quello femminile, che comincia a farsi più adulta e a renderti donna.
Ed è facile dire oggi: "vabbè, erano matte vere", oppure "è un modus operandi vecchio di anni. Bisognava prendere tutto con più superficialità e non lasciarsi troppo condizionare". 
Quando sei in adolescenza e ti dicono che il tuo corpo è brutto e totalmente inadatto, che loro, del tuo stare male, se ne infischiano, che con tante professioni proprio quella hai scelto, ci credi. Ci credi perchè non hai ancora gli strumenti per vedere tutto alla giusta distanza. In quell'ambiente ci vivi da quando sei piccolo e tutto, tuo malgrado, ruota intorno alla danza. Non ci sono svaghi, passeggiate con gli amici dopo i compiti, chiacchere da muretto. C'è solo un continuo misurarsi con te stesso in un ambiente che, tutto sommato, sembra solo remarti contro. Ci credi perchè quello è il mondo a cui aspiri e quello è il mondo che già vivi. Solo, non ne assapori le glorie e le soddisfazioni, ma i tormenti  e le angosce.
Così finisce che all'inizio reggi, ti incaponisci, ma poi non ce la fai più ed abbandoni tutto.
Per carità, non è che tutti quelli che si avvicinano alla danza siano destinati al palcoscenico, ma io credo sia un punto a sfavore aver perso probabilmente parecchi telenti solo per il marciume di un sistema. 

Tutto sommato, la mia classe è stata fortunata. C'è stata una donna straordinaria a tenerci per mano. Se non avessimo avuto la nostra professoressa di italiano (presente alla cena) che si fosse presa cura di noi, ci avesse consolato, preso di forza e spinto a ragionare, a relativizzare tutto, a comprendere quello che - danza o meno- eravamo, non ce l'avremmo fatta e ne saremmo umanamente usciti a pezzi. 

Discutevamo su come sia malsano, folle tutto questo sistema ed ancor di più malata e sbagliata l'idea che la danza sia qualcosa di elitario, che non tutti possono comprendere.

Tra noi ex allievi ci sono due ragazzi che hanno avuto il talento e la tenacia di continuare ed oggi sono professionisti affermati. 
E' stato meraviglioso ascoltarli perchè, nonostante tutta l'incuria ed il maltrattamento al talento che hanno subito, sono due persone straordinarie.
C'è lei, la ragazzina bella e tenace che già a 11 anni prende il treno come se fosse una bicicletta. Ha proseguito il suo percorso ed oggi si ritrova ad insegnare. Lo fa con passione, con  un amore ed un senso di responsabilità rari, ma soprattutto con generosità. Quella generosità che fa dire "ad ogni fine lezione, ho ricevuto e non dato". Quell'altruismo che ti porta a "rinunciare" alle tue punte di diamante, a quelle allieve che danno lustro al corso, perchè vorresti dargli quello che tu non hai avuto: nuovi orizzonti, occasioni, soddisfazioni, gioie.
C'è lui, il ragazzino già artista alle medie; conscio di se stesso e di dove vuole arrivare. Ce l'ha fatta e, dopo anni lontano da casa e dagli affetti, oggi è un professionista di livello internazionale. Direttore artistico di un prestigioso teatro di una meravigliosa città d'arte, sa unire rigore a passione, disciplina a creatività. Apre il suo teatro ai ragazzi, agli allievi delle altre scuole, li porta in visita e ad ogni spettacolo pomeridiano "regala" mezz'ora al suo pubblico. Per spiegargli il balletto, il suo senso. Perchè la cosa più importante non è solo "far uscire buoni ballerini, ma un buon pubblico". Un pubblico amante e cosciente, preparato. Senza contarne la provenienza sociale.

Mentre li ascoltavo pensavo, ancora una volta, che il futuro è in mano a noi. A questa generazione di trentenni cresciuti tra Drive-in, Bim Bum Bam, ragazze di Non è la Rai, Beverly Hills 90210, che si ritrovano, nel loro piccolo, a cambiarlo questo mondo. 
Proprio così; ci ritroviamo ad insegnare ai nostri figli che è dagli errori che si può partire. 
Mentre noi non possiamo tornare indietro e rifare tutto daccapo con la consapevolezza di oggi, dobbiamo -nonostante tutto- rendere grazie a quegli anni, a quelle persone, perchè ci hanno mostrato la strada da NON seguire. 
Rubando una frase all'interloquire inglese, è come se fossimo stati seduti sulle spalle dei giganti ed avessimo scoperto che quei giganti, seppur imponenti e capaci di incutere timore, fossero in realtà mostri di sabbia, incapaci di reggere il nostro peso.

Il peso di ragazzini di undici anni.


5 commenti:

  1. gran bel post! ma non mi è chiaro come possa una scuola media stare in un'accademia di danza... è forse il contrario? tu volevi fare danza e hai unito il sogno al dovere scolastico di quell'età?

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    Risposte
    1. Grazie, Emy!
      Un pezzo molto "mio".
      Allora, provo a risponderti.
      L'Accademia Nazionale di Danza è l'unica scuola di stato in Italia per lo studio della danza. Negli anni 80 e 90 il percorso iniziava con la propedeutica (dai 6 ai 10 anni) per tre volte a settimana, poi - dopo una lunga selezione- si passava al giornaliero (dagli 11 ai 13) per proseguire con l'avanzato (fino ai 18 anni). Infine, la scuola di avviamento.
      All'interno dell'Accademia, al fine di garantire agli allievi un'adeguata istruzione regolare, c'era una scuola media composta di sole 2 sezioni e 4 aule. Infatti, al secondo anno, l'orario era invertito. Si ballava la mattina e si andava a scuola di pomeriggio, fino alle 18, proprio perchè non c'erano aule per tutte le classi.
      Al liceo, all'interno c'era quello coreutico, l'unico a Roma in quel periodo.
      Di fatto quindi una volta entrati nella sede di Largo Arrigo Settimo, si faceva tutto lì ed i miei compagni ed io ci abbiamo trascorso giornate intere.
      Inutile girargi intorno; sono stati anni pieni che ci hanno insegnato e formato, ma avevamo comunque la sensazione di vivere in una gabbia dorata.
      Io, come hai scritto, volevo studiare danza in maniera professionale. All'epoca a Roma c'erano l'Opera (dove però studiavi solo la danza, facendo i tuoi studi in una qualsiasi scuola) o l'Accademia, appunto, dove potevi unire un percorso di studio della danza a quello scolastico. I miei genitori scelsero questa opzione e, dopo varie selezioni, fui ammessa.
      Spero di averti dato un'idea più chiara.
      BACI!!!

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    2. esaustiva al massimo :) carina come cosa, mi ricorda 'ginnaste' su mtv :)
      io non l'avrei mai fatto, troppo impegnativo.
      Sono andata a scuola e al liceo in seguito, facendo danza nel tempo libero per 7anni e mi sono bastati hehe

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    3. Beh, in effetti in quanto ad "impegnativo" non posso darti torto.
      7 anni di danza?? Allora anche tu sei passata per le forche caudine dei pliè e grand pliè! :)
      BACIO

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Non potendoci mettere la tua faccia, mettici almeno la tua firma. Grazie!


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